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Menù, lista delle vivande e “carte”

In Francia non vi sono equivoci in proposito. La “carte” e la lista delle vivande che il cameriere porge al cliente perchè faccia la sua scelta. Può essere bella o brutta, colorata o monocromatica, semplice o elaborata, grande o piccola, rigida o flessibile, con molte pagine o anche con una sola. Di solito è cartacea, talvolta ha la copertina di plastica o in simil-pelle (che orrore!). Raramente è di altri materiali; legno, metallo, seta, cotone, materie plastiche, terracotta. Io ne sono collezionista e di queste “carte” ne ho circa 30.000 di tutti i Paesi del Mondo, compresi Bhutan, Groenlandia, Swaziland, Nauru, Tuvalu e l’Isola di Pasqua.

I significati della parola “menu”

Il menù deriva dal latino “minuta”. Questo vocabolo si è internazionalizzato ed è entrato nelle lingue francese, inglese, spagnola e russa. Non in quella tedesca che continua a chiamarlo “speisekarte” e portoghese che usa spesso e volentieri  la parola “cardapio”. Ciò accade soprattutto in Brasile e il suono non è dei migliori.

Con il tempo e l’uso quotidiano questa parola ha finito per assumere tre significati distinti solo i primi due corrono il rischio di essere confusi.

  1. In un pranzo importante è l’oggetto, normalmente cartaceo, che viene posto sulla tavola apparecchiata vicino ad ogni coperto e che contiene l’elenco delle vivande che saranno servite. Se l’occasione è importante, se gli ospiti sono di rango molto elevato, questo “menù” acquisisce una importanza storica perché è stato testimone, muto ma eloquente di un grande  avvenimento ed è stato nelle mani di grandi personaggi.

2) Il secondo significato è l’insieme delle vivande che sono state servite in una particolare occasione. “Cosa avete mangiato?”, “Quale era il menù?”. Sono due tipiche domande che vengono poste ad amici e conoscenti per essere informati su una riunione conviviale di cui siamo curiosi.  In questi casi  il menu “oggetto” non esiste. Esiste solo il suo racconto, il  “reportage”che viene fatto a beneficio di terzi.

  1. Il terzo significato è recentissimo e fa riferimento all’informatica e non ha nessuna attinenza con la gastronomia.

Occorre sapere che per i menù storici esiste un mercato fiorente mentre per le “liste delle vivande” questo mercato ancora non esiste.

Il menù come racconto, come “reportage” e come prospetto per un banchetto regale

Esistono documenti gastronomici anche cinquecenteschi, che solo una persona incompetente può considerare menù. Mi riferisco ai presunti menu della Dieta Imperiale di Francoforte del 1489 e al Conte Von Braunschweig che nel 1521, a Worms, dettò al suo maggiordomo che le trascrisse su una pergamena, le portate di un pranzo luculliano che aveva offerto al suo amico Conte di Monfort.

Un ottimo esempio di menù “racconto” e la famosa lettera scritta da Madame de Sevigné alla figlia, che riporta con dovizia di particolari i nomi degli ospiti presenti, che cosa si mangiò e quali furono gli spettacoli di contorno rappresentati, sino al tragico epilogo che portò al suicidio di Vatel, Gran Maestro di Cucina del Principe di Condè. Egli si gettò sulla sua spada, il Re lo aveva infatti elevato al rango di Cavaliere per le sue speciali benemerenze. Egli morì disperato perché non aveva  pesce a sufficienza da servire proprio al Re Sole che era comparso inatteso, e con un enorme seguito, al Castello di Chantilly. Era evidente il proposito del Re di mettere a disagio il vecchio Principe con il quale i rapporti non erano mai stati idilliaci. La nota più amara è che, poco dopo l’irreparabile gesto, giunsero dai fiumi e dai laghi dei dintorni pesci in abbondanza. Gerard Depardieu ha interpretato il ruolo di Vatel in un film sfarzoso e costosissimo che ha però avuto un successo al botteghino molto inferiore alle attese.

Un altro celebre esempio del menù come relazione, come “reportage”, in questo caso ufficiale e messa agli atti, è il seguente: nel 1367 Galeazzo Visconti festeggiò le nozze della figlia Violante con il figlio del Re d’Inghilterra Edoardo III. Fra gli innumerevoli invitati c’era anche Francesco Petrarca. Gli Annali della Storia di Milano ci hanno fedelmente trasmesso l’elenco degli ospiti, i sontuosi regali che presentarono agli sposi e che a loro volta ricevettero dal padre della sposa, e la minuziosa descrizione delle “diciotto imbandigioni” che composero il menù del banchetto. Non le riportiamo qui perché riempirebbero una pagina intera.

Vi sono infine i cosiddetti “prospetti per un banchetto” che nel caso di Re Luigi XV e della Marchesa di Pompadour sono delle vere opere d’arte, acquerellate a mano dal pittore di corte Brain de St. Marie, per mostrare al sovrano e alla sua amante ufficiale quale sarebbe stato l’allestimento della tavola predisposta per il “Servizio alla Francese”. Questi pseudo-menu sono ben 413, raccolti in cartelle rilegate con lo stemma regale e con il titolo seguente: Viaggi del Re al castello di Choisy con i menu della tavola di Sua Maestà. Sono conservati in tre musei francesi nei dintorni di Parigi. Sono documenti di straordinario interesse gastronomico perché ci informano, con minuziosa fedeltà, sull’alimentazione quotidiana del Re di Francia e della sua corte a metà del Settecento. Ma non sono menu.

Il “vero” menù

Il menù è un oggetto con caratteristiche peculiari che solo l’Ottocento ha evidenziato e reso necessario.

Per essere considerato tale il menu deve essere concepito dall’anfitrione come ricordo di quella determinata occasione conviviale e ne predispone un numero rapportato agli ospiti che ne attende per la cena. L’anfitrione si aspetta quindi che ogni commensale ne prenda una copia per sé e se la porti a casa. Se il Re di Francia  avesse previsto una copia  dei “suoi prospetti di menu”, per ogni suo commensale essi sarebbero diventati i primi menu della storia. Ma questi prospetti erano un “unicum” ad uso esclusivo del Re.

Con questa precisa caratteristica e cioè di essere destinati agli ospiti, il menù considerato più antico è del 1803 ed è di un Lord inglese che invita alcuni amici a casa sua per un pranzo con servizio ancora “alla francese” e cioè con tutte le vivande esibite simultaneamente su un grande tavolo riccamente imbandito. Esiste ancor oggi il pranzo “a buffet” che di fatto adotta gli stessi criteri. Con il servizio “alla francese” il menù era superfluo, è quindi rarissimo e compare sporadicamente ma solo in date successive al 1803, certamente per “contagio” con i menu dei pranzi con il servizio detto “alla russa” che lo rendevano necessario.

Il servizio detto “alla Russa” compare a Parigi nel 1810 e fu denominato così perché lo propose per primo il Principe Kurakin, ambasciatore dello Zar Alessandro I presso la Corte di Napoleone Bonaparte. E’ ovvio che tale tipo di servizio, con le portate servite una per volta, seguendo una successione prevista dall’anfitrione, rendeva non solo utile, ma anche necessario il menù, affinché ogni commensale potesse regolare il proprio appetito perché allora le portate variavano da 12 a 20 ed era consentito dall’etichetta di saltarne alcune. E’ ovvio che questo tipo di servizio fosse già praticato da tempo alla corte dello Zar, contrariamente l’ambasciatore non avrebbe osato proporre in Francia una novità non ancora sperimentata con successo in Patria.

Come avviene quasi sempre per le novità il servizio “alla Russa” fu accolto inizialmente con scetticismo, stentò non poco ad imporsi, ma ebbe comunque un crescente successo che il menu, come oggetto accessorio della convivialità, seguì di pari passo.

La vittoria del “servizio alla russa”

Urbain Dubois e Emile Bernard, chef di cucina dell’Imperatore di Germania Guglielmo I, sono autori di “ La cuisine classique” forse il più importante e certo il più bello per la ricchissima documentazione iconografica, tra i testi culinari pubblicati nell’Ottocento. All’edizione del 1879 viene premessa una comparazione fra il “servizio alla francese” e quello “alla russa” e l’autorità dei due prestigiosi chef consacra definitivamente la vittoria del secondo sul primo. Essi esprimono il fermo convincimento, con le seguenti, testuali parole: Se questo metodo di presentare singolarmente le vivande invece di sistemarle simmetricamente sulla tavola è meno entusiasmante per gli occhi e per i sensi, esso ha tuttavia il risultato evidente di far assaporare i cibi serviti nelle migliori condizioni di temperatura e di perfetta edibilità perché vengono tagliati in cucina e porzionati appena cotti e subito dopo serviti e gustati.

I menù storici

Abbiamo già scritto che questi menù possono avere un alto valore commerciale perché talvolta sono delle vere e proprie opere d’arte create appositamente da artisti famosi. Facciamo un esempio recente. Nel 1978 il Presidente della Repubblica Francese Valery Giscard D’Estaing offrì un pranzo all’Eliseo al Presidente degli Stati Uniti d’America Jimmy Carter. Marc Chagall ricevette l’incarico di illustrare il menù con una sua opera, creata appositamente per l’occasione. Dipinse una leggiadra bianca colomba della pace in volo su Parigi, con un ramoscello d’ulivo infilato nel becco. E’ un menù raro e bellissimo.

Gli ultimi due zar di Russia Alessandro III e Nicola II, incaricavano illustri artisti di creare menù per le loro più importanti ricorrenze quali  incoronazione, visite di altri sovrani regnanti, matrimoni regali e compleanni. Un bellissimo menu per l’incoronazione di Nicola II misura un metro di altezza e 30 cm. di larghezza. Fa parte della mia collezione, è il più grande menu reale che esista ed è una gioia per gli occhi.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della Prime Guerra Mondiale vi fu una straordinaria produzione di menù illustrati da artisti di valore, soprattutto in Francia, Inghilterra, Germania, Sassonia, Baviera, Belgio e Olanda. La mia collezione di questi menù storici è considerata, non da me, ma dal Ministero della Cultura di Francia, forse la più importante del mondo.

Un accenno meritano i raffinati menu del Belgio su carta porcellanata  che compaiono a partire dal 1830 e concludono la loro parabola mezzo secolo dopo, quando fu dimostrato che questo tipo di stampa era tossico che poteva arrecare danni ai tipografi. In Belgio il Re stesso, Leopoldo di Sassonia – Coburgo – Gotha era un grande estimatore dei menu e la nobiltà e l’alta borghesia lo seguirono con entusiasmo. La città di Anversa, ancor più di Bruxelles e Liegi, è una vera miniera d’oro per i menu storici dell’Ottocento.

Grande importanza ebbero durante la Belle Epoque le Confraternite parigine di carattere artistico, letterario, storico, professionale, enoico o anche semplicemente amichevole. Esse radunavano i loro soci mensilmente in ristoranti alla moda e ricorrevano a validi artisti, non ancora definitivamente affermati, per la realizzazione dei loro menu. Alcune di esse esistono ancora oggi e hanno superato i 1200 pranzi sociali, come ad esempio i Chevaliers du Tastevin di cui anche io faccio parte.

Touluse Lautrec, Gaugin, Cheret, Mucha, Willette, Robida, Redon, Picasso, Dalì, Decaris, Braque, Miro, Leonor Fini, Louise Abbema, Botero, Jean Cocteau sono tutti artisti famosi che si sono cimentati, alcuni più spesso, altri raramente, nell’arte del menù. Anche il nostro Renato Guttuso aveva la mano particolarmente felice nel realizzare menù e ne ha creati alcuni davvero stupendi, talvolta contraddistinti da un’estrema sensualità.

Articolo di Maurizio Campiverdi

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“Menù Associati” l’unica associazione culturale al mondo di collezionisti e istituzioni dedicata alla storia dei menù… ai menù nella storia.

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