Nella seconda parte dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento il pesce (le poisson della cucina internazionale) è uno dei piatti che fanno parte del “pranzo normale”. Di rado consumato a mezzogiorno, è invece praticamente obbligatorio nel “diner” e non fa ovvia- mente eccezione la tavola di Casa Savoia.
Se all’inizio del pranzo c’è il “potage”, la minestra, l’unico piatto che lo può precedere è un piatto di mare, ossia le ostriche che ritroviamo frequentemente nei pranzi dei nostri Sovrani; è usanza citare per i vari prodotti il luogo di provenienza quando questo è di per sé garanzia di qualità e le ostriche dei Savoia, quando non indicate con il termine generico, sono quelle del Fusaro, un lago costiero alle porte di Napoli molto amato da Ferdinando IV di Borbone che vi fece costru- ire un casino di caccia e pesca progettato dal Vanvitelli (Casina Vanvitelliana) impiantandovi poi anche un vi- vaio di ostriche che diventarono fra le più famose e ri- chieste d’Europa.
Dopo il “potage” e un’eventuale “entrée” il pranzo pre- vede come portata il pesce e qui le possibilità di scelta sono diverse. Una delle più classiche è il branzino (loup de mer), cotto normalmente in poca acqua salata e servito con una delle varie salse di cui parlerò in seguito, importanti perché in effetti sono queste che ne contraddistinguono il sapore e la qualità tanto che il loro nome viene spesso integrato in quello del piatto (Pranzo offerto dal Re alle autorità veneziane il 1° ottobre 1901: Loup de mer à la Vénitienne = Loup de mer S.ce Vénitienne). Molto presente pure la sogliola (sole), lessata nei pranzi importanti ma anche nei pranzi di tutti i giorni nei quali viene generalmente cucinata fritta, come nella “sogliola alla Colbert” che Auguste Escoffier immerge nel latte, infarina, impana all’inglese, frigge eliminando poi la lisca e riempiendo il vuoto con burro alla maitre d’hotel e servendo su piatto caldo.
Un altro pesce di mare molto presente, soprattutto nei pranzi dell’Ottocento, è il rombo (turbot), ricercato quello di Ostenda, la cui cottura viene fatta partendo con un ammollo a freddo e raggiungendo poi lentamente l’ebollizione che va tenuta appena percettibile per permettere una lessa- tura regolare.
Fra i pesci d’acqua dolce i più impiegati sono certamente il salmone e la trota.
Il salmone più rinomato è quello del Reno (saumon du Rhin), quasi sempre presente nei souper, le cene dei balli di corte, caratterizzate dall’ora tarda, quando i Sovrani si erano ritirati nei loro appartamenti, serviti dopo il consommé e gli immancabili sandwich (con canapé o i panini alla russa, i pirozki) ed accompagnati con salsa tartara.
Molto apprezzato anche il salmone della Loira. La cottura avveniva normalmente in court- bouillon all’aceto, anche in questo caso portando lentamente all’ebollizione e proseguendo senza bollore.
Le trote sono presenti sia nei pranzi di rappresentanza sia nella tavola di tutti i giorni, specialmente nel periodo umbertino. Si dividono in due varietà ben distinte, le trote grandi o trote salmonate (truite saumonée) e quelle piccole (trote di fiume e torrente).
Le trote salmonate si cucinano generalmente come il salmone ma, essendo di taglia più piccola, si preferisce in genere servirle intere e non in trance, mentre la ricetta tipica per le trote di fiume è quella “alla mugnaia” poco presente però sulla tavola reale.
I crostacei potevano benissimo sostituire la portata di pesce, ad esempio l’aragosta (langouste) presente sia nei pranzi privati dei Savoia (anche se raramente), sia nelle grandi occasioni, come l’”aligusta” delle colazioni di nozze della Principessa Giovanna con Boris III di Bulgaria sia del Principe Umberto con Maria José del Belgio.
Anche l’astice (homard) veniva usato, a volte anche come entrée, ad esempio nel pranzo offerto a Napoli all’imperatore Napoleone III da Vittorio Emanuele II il 15 maggio 1862 (Les salades de homards à la provencale) o in timballo (Timbale de homard à la Maréchale) come nel pranzo offerto il 6 dicembre 1902 da Vittorio Emanuele III in onore dei generali convenuti a Roma per i la- vori della Commissione di avanzamento.
Le acciughe sono invece preparate quasi sempre in pasta sfoglia (Feuilletée d’anchois), un piatto che ritroviamo nei pranzi privati, ad esempio in quello a Roma del 3 giugno 1886 di Re Umber to e della Regina Margherita, o nei souper, come in quello del 6 febbraio 1911:
“Il primo ballo datosi ieri sera alla Reggia è riuscito brillantissimo. Alle 20.30 le sale del Quirinale erano già gremite da circa duemila invitati tra signore in fulgide acconciature, scintillanti uniformi militari ed un migliaio circa di abiti neri con decorazioni. … S.M. la Regina vestiva una toletta di colore rosso fragola, a lunghissimo strascico con pochi ricami in oro, e con sovrapposta una trina di color crema, a fiorami d’oro, e portava sul capo un superbo diadema che dava maggior risalto alla maestà della sua figura. Essa, verso fine del ballo, tenne il consueto circolo, rivolgendo cortesi parole, con quella grazia che la distingue, a centinaia di signore. S.M. il Re si mostrava di ottimo umore e si intrattenne, sempre in piedi, col gruppo degli ambasciatori, dei ministri e dei generali. Poco dopo mezzanotte gli Augusti Sovrani si ritirarono e la folla si riversò nelle sale da buffet, come sempre, servito con quella ricchezza che contraddistingue la Corte italiana. Alle 2 si ballava ancora, dai più ostinati, nel gran salone d’onore, ma la folla an- dava scemando. Alle 2.30, pressoché tutti gli invitati lasciarono il Reale appartamento ed il Quirinale rientrava nella sua calma austera” (Dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia di martedì 7 febbraio 1911).
Sulla tavola di tutti i giorni possiamo anche trovare le sardine, mentre i gamberi e gamberetti sono presenti sulla tavola di Umberto (Écrevisses à la Bordelaise, Monza, 20 luglio 1885), ma anche come zuppa nel pranzo offerto il 7 febbraio 1904 da Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, Conte di Torino, a Napoli in rappresentanza del Re in occasione dell’inaugurazione del monumento a Nicola Amore (Bisque d’Ecrevisses) o in gelatina nel buffet al Cairo del 15 dicembre 1928 durante il viaggio di sta- to in Egitto (Aspic de crevette rose).
Ma se parliamo di pesci sulla tavola dei Savoia non possiamo non ricordare il diner del capodanno 1858, quando sulla tavola di Vittorio Emanuele II, ancora solo Re di Sardegna, si susseguono in un crescendo quasi rossiniano, merlani, triglie, salmoni, rombi, branzini, sogliole, aragoste, anguille e gallinelle!
Le salse costituiscono un mondo a parte; osserva Auguste Escoffier che “la cucina moderna ha dettato una semplice regola formale e razionale: tra le carni e le loro salse deve sussistere la più completa armonia. In tal modo, la selvaggina andrà servita con salse e fondi a base di selvaggina, o tutt’al più un fondo di sapore neutro … Lo stesso accade col pesce, il quale, alle salse neutre con cui viene generalmente trattato, esige imperiosamente l’aggiunta dei fumetti, che conferiscono a ogni preparazione un sapore sui generis”.
Questa regola viene generalmente seguita, ma non sempre, specialmente nel periodo più antico, quello di Vittorio Emanuele II, nel quale probabilmente piacevano sapori un po’ più forti e la trota può essere servita con la Salsa Bordolese, più adatta alle grigliate di carne rossa, l’ombrina con la Salsa Romana, in genere impiegata con la cacciagione ed il salmone con la Salsa Bearnese, una varietà di maionese al burro anch’essa normalmente usata con carni di macelleria.
Ma questi sono casi un po’ al limite, normalmente troviamo usate le piccole salse bianche, composte e di riduzione, come la Salsa Homard (di Astice); un esempio è il pranzo di gala del 25 novembre 1896 in onore del Re di Serbia nel quale troviamo il rombo di Ostenda con la salsa d’astice (Turbot d’Ostende – Sauce Homard). Adatta ad ogni tipo di pesce lessato è anche la Salsa ai Capperi (sauce aux Câpres) con la quale sono servite le scaloppe di pesce al pranzo di nozze tra Maria Pia e Luigi I re di Portogallo, il 28 settembre 1862, come pure la Salsa Cardinale (Sauce Cardinal) proposta con il rombo da Umberto e Margherita al pranzo del 14 maggio 1887 in occasione delle “Feste di Firenze” o la Salsa di gamberetti, come la precedente a base di besciamella, che agli inizi del Novecento vediamo servire con branzino o trota salmonata in pranzi di alta rappresentanza.
Ma fra le piccole salse bianche quelle senz’altro più presenti sulla tavola dei Savoia sono la Salsa Veneziana (Sauce Vénitienne) e quella Olandese (Sauce Hollandaise).
La Salsa Veneziana si ottiene riducendo l’aceto al dragoncello con aggiunta di scalogno e cerfoglio, aggiungendo la riduzione ad una salsa al vino bianco e completando con burro verde e ancora cerfoglio e dragoncello tritati. Se nel periodo umbertino la troviamo soprattutto unita alle trote, è però impiegata anche con altri pesci, dal salmone al branzino.
La Salsa Olandese è un’emulsione di tuorlo d’uovo e burro liquido, aromatizzata con succo di limone, sale e pepe grossolanamente tritato.
Da questa derivano le salse maionesi, caratterizzate da un’emulsione di olio e tuorlo d’uovo.
Viene così chiamata per ché ritenuta una imitazione di una salsa dei Paesi Bassi realizzata per il Re in visita in Napoli, 20 gennaio 1891. La vediamo impiegata ad accompagnare soprattutto il branzino e la trota.
Il pranzo del 20 gennaio 1891 a Napoli in onore del Duca di Cambridge e quello di Vittorio Emanuele III al fronte con alti ufficiali francesi il 10 febbraio 1916 sono due esempi nei quali la Salsa Veneziana e la Salsa Olandese accompagnano rispettivamente branzino e trota salmonata.
Per completare il panorama delle piccole salse bianche cito anche la Salsa Joinville e la Salsa alle Ostriche, entrambe derivate dalla Salsa Normanna, e la Salsa alla Marinara (Sauce Marinière) che, se pur particolarmente adatta alle cozze, troviamo anche con piatti di pesce di mare lesso.
Alla famiglia delle salse fredde appartengono invece la Salsa Genovese (Sauce Genévoise), la Maionese (Sauce Mayonnaise) e la Salsa Tartara (Sauce Tartare)
La salsa genovese è impiegata ad esempio in due importanti occasioni, nel pranzo di gala tenuto a Roma da Umberto e Margherita il 1° giugno 1879 in occasione della Festa dello Statuto (ad accompagnare il branzino) e nel secondo menu di matrimonio del Principe Umberto, il 9 gennaio 1930, associata alle trote salmonate. Nella ricetta dell’Artusi si ottiene tritando finissimi prezzemolo ed aglio e pestandoli in un mortaio assieme ai pinoli, ai capperi, ad un’acciuga salata, il rosso d’un uovo sodo, la polpa di olive in salamoia, midolla di pane, sale e pepe; dopo aver passato tutto allo staccio, lo si diluisce con olio e un po’ d’aceto.
La salsa maionese nel periodo umbertino è più che altro relegata alle cene che accompagnano i balli di corte, accompagnata abitualmente al salmone del Reno, mentre nel Novecento è servita a Mortara, assieme ad una salsa di limone, con l’aragosta presentata al Duca di Pistoia in una colazione intima a lui offerta (12 novembre 1922), ma anche per accompagnare un branzino bollito nel pranzo del 19 febbraio 1933 a bordo della nave reale Savoia in navigazione verso Alessandria d’Egitto con la famiglia reale per restituire a Re Fuad I la visita di stato. Anche l’Artusi la reputa una delle migliori salse per condire il pesce lesso.
La salsa tartara è una salsa dai mille usi, che può servire indifferentemente per pollame e carni fredde, per pesci e crostacei e anche per carne e pollame cotti “alla diavola”. La troviamo molto impiegata nei souper dei balli di corte ove, nel Novecento, è preferita alla maionese per accompagnare
il salmone, come pure è presente nei pranzi privati, molto meno in quelli di stato, anche se è servita con l’aragosta nel già nominato menu di nozze del Principe Umberto. Escoffier la prepara lavorando in terrina i tuorli di uova sode, insaporendo con sale e pepe e montando la salsa con olio e aceto ai quali si aggiunge passato di cipolla verde o erba cipollina, allungando poi con un po’ di maionese e passando il tutto al setaccio fine.
Per questa veloce sintesi ho consultato più di un centinaio di menu, scelti fra quelli della mia collezione e quelli pubblicati da autorevoli autori, un numero sufficiente per avere un’idea generale ma non per pronunciarsi sui gusti personali dei regnanti. Questo perché i pranzi (termine che uso ora in senso generico, comprendendovi anche le colazioni) possono suddividersi sostanzialmente in tre categorie: pranzi di gala o di stato, pranzi in occasione dei balli di corte e pranzi privati (cosiddetti “di tutti i giorni”).
Nei pranzi ufficiali ci sono regole dalle quali non si può derogare, sia nella struttura del menu che nella scelta delle singole portate che deve essere in linea con la grande cucina internazionale, il che lascia poco spazio alle preferenze personali e le variazioni da un periodo all’altro (comunque piuttosto limitate, come abbiamo visto) sono da imputare prevalentemente al variare nel tempo dei gusti e della moda.
I souper, le cene in occasione dei balli, sono confrontabili come struttura ai pranzi di gala ma li ho voluti tener separati perché, come ho accennato più volte, alcuni piatti sono “tipici” di queste serate o comunque vengono riproposti con una frequenza molto maggiore. Le ragioni sono più di una. In primo luogo il numero dei convitati è molto alto, come abbiamo visto si possono superare le due- mila presenze e sono quindi necessarie preparazioni che possano facilmente essere fatte per così tante persone senza scendere di qualità; inoltre anche la tempistica è problematica: il Re e la Regina solitamente non si fermano per cenare, ma tengono circolo per poi ritirarsi nei propri appartamenti. Solo allora, normalmente, viene dato l’avvio al servizio, e occorre quindi scegliere piatti che possano “sopportare” eventuali ritardi (perché non si può spinger via i sovrani!). Ma c’è anche un terzo motivo, forse il più importante: duemila persone non possono essere messe sedute e servite, anche se i saloni del Quirinale potrebbero forse consentirlo; il pranzo è quindi organizzato a buffet, e bisogna quindi proporre cibi che possano essere consumati in piedi, magari chiacchierando con gli altri convitati. Per tutte queste ragioni i menu dei balli di corte si assomigliano e si ripetono e non solo per le portate di pesce.
Dai cosiddetti “menu di tutti i giorni” qualche elemento in più sulle preferenze dei nostri regnanti si può evincere, ma occorrerebbe un numero maggiore di dati, anche perché le variabili non sono moltissime; vediamo però comparire pesci come le acciughe, le sardine e il tonno considerati probabilmente poco consoni nei pranzi di gala, ma oltre le presenze ci possono dire qualcosa anche le assenze: il branzino, il rombo ed il salmone, frequentissimi nei pranzi di corte, raramente si trovano nei pranzi privati (e questo accomuna i tre regnanti). Probabilmente non era una grande amante del pesce la Regina Margherita: quasi assenti nelle colazioni, a volte non compaiono neanche nei pranzi, dove sarebbero quasi d’obbligo; e una volta diventata Regina Madre e quindi svincolata da certi obblighi formali, è molto raro trovare piatti di pesce nei suoi menu.
Articolo di Roberto Liberi