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I due menù, storie a ritroso

Riguardo le diverse declinazioni del termine menù, in gastronomia si distingue la sequenza delle vivande proposte in tavola dalla loro più o meno fedele rappresentazione su un cartoncino.

Ma i destinatari/protagonisti siamo comunque noi, e in una tavola imbandita ideale (in genere è 6 il numero per gustare con sapienza una grande bottiglia di vino) potremmo trovare insieme i principali rappresentanti della filiera gastronomica: un produttore (o due se mettiamo anche il vigneron), un commerciante, un analista della qualità, un gourmet meglio se non giornalista, un medico nutrizionista, un architetto e ovviamente lo chef, che si siederà a sua discrezione fra un piatto e l’altro.

Ognuno di noi avrà sul tavolo un menù, preferibilmente su di un portamenù d’argento o porcellana, che racconti con rigore e precisione, compendiando l’essenza con la ricchezza dell’informazione e in cui l’estetica dovrebbe riflettere, come il pranzo, la cultura dello chef.

Oggi il rapporto fra il ricordo e l’inatteso, ingrediente indispensabile per ogni piatto di qualità, dovrebbe pervadere anche tutto il menù (quello vero, quello che si mangia) in una sequenza dinamica, che diventerà un nuovo ricordo. Un ricordo che dipenderà ovviamente dal rapporto fra la realtà concettuale dello chef/anfitrione e la nostra soggettività, e in cui il menù (in questo caso inteso come ʻcartoncino colorato’) dovrebbe costituire una sorta di sintesi di queste diverse dimensioni.

E un vero menù lo chef lo firma e lo regala al commensale, perché nel ristorante è lo chef il punto di riferimento concettuale che comunica la propria cultura, nell’accoglienza, nella presenza discreta, nell’abbigliamento e infine nel menù che si conserverà per conservare un ricordo. Oggi in un periodo storico in cui la pari dignità vale per i prodotti, ma anche per le diverse tipologie di locali e ʻdi far cucina’, il menù può riprendere vigore nel suo significato più nobile dopo decenni di frammentazione concettuale e gastronomica.

Il menù era morto a metà del secolo scorso: troppa era l’euforia dopo le tragedie mondiali e  la voglia di non ʻpatire più la fame’; il cartoncino colorato era più un ricordo di matrimoni e compleanni che di quello che avevi mangiato. Ma, negli anni fra le due guerre, era ancora vivo e significante e rifletteva il gusto estetico dell’epoca, con le pubblicità di Campari e Cinzano, con i menù futuristi, con il decò imperante e le esigenze di una nobiltà ancora legata a cerimoniali integri. È dal 1870 ai primi anni del ’900 che il menù accompagna con autorevolezza l’euforia di un’Europa delle grandi Expo, delle architetture di ferro e vetro, dei vini riconoscibili dopo la prima classificazione francese del 1855, della Belle Époque e del Liberty. Finita l’era del servizio ʻalla francese’, che imperava fino ai primi dell’800, i menù nascono quando si comincia a superare la presentazione in tavola ʻa buffet’ e il commensale ha l’esigenza di conoscere, con la successione delle portate, ʻcosa c’è dopo’. Diventa quindi necessario mettere in tavola il ʻcartoncino colorato’, in una fase in cui in Francia, dopo la rivoluzione francese, i cuochi in diaspora fanno nascere i primi veri ristoranti e quando la stampa, soprattutto con la litografia, rende possibile realizzare multipli a prezzi giusti. È questo il periodo in cui nasce l’egemonia estetico-tipografica del Belgio che a metà ’800 sforna innumerevoli menù in ʻcarta porcellana’ impressi con brillanti colori metallici che tutt’oggi sono indispensabile patrimonio di veri collezionisti. Il fascino dei menù è la loro complessità ed è per questo che sono moderni: l’evento, la grafica, la tipografia, i materiali e le effigi, prima ancora dei piatti, rendono unici questi ʻcartoncini colorati’. È tempo ormai di riscrivere la storia della cucina facendoli parlare, classificarli e attraverso di loro conoscere la tipologia dei piatti in un determinato periodo storico e in un’area definita. La storia della cucina non ha mai previsto questa dimensione perché i menù storici sono patrimonio di pochi… chissà se nascerà una nuova storia tutta da riscrivere: quella dei veri mangiari.

Articolo di Maurizio Campiverdi

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“Menù Associati” l’unica associazione culturale al mondo di collezionisti e istituzioni dedicata alla storia dei menù… ai menù nella storia.

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