Un intellettuale vero (di quelli che conoscono il passato da custodire per il futuro) rischiando in prima persona nel comunicare con gli altri attraverso le mille forme di un artista-artigiano.
Artista perché interpreta il presente annusando il futuro e artigiano perché fa parlare la materia, appropriandosene, stravolgendola, ma rispettandola ad un tempo.
E poi a noi collezionisti di menù ha insegnato a parlare di quello che si conosce partendo dai propri territori. In questo caso di un Piemonte sabaudo (e quindi anche francese) stando ben piantato nelle valli e nelle pianure da dove si vedevano quelle cime quasi sempre imbiancate: dal Viso al Gran Paradiso fino al Rosa…
Ma se i menù italiani spesso erano monopolio di Nobili e gran borghesi, in Piemonte anche le classi meno importanti non rinunciano a incontrarsi in trattoria per celebrare anniversari di coscritti o eventi rilevanti per le famiglie o per la vita dei borghi più sperduti. Ecco che il mangiare, filtrato dai menù in Piemonte più diffusi che altrove, era il veicolo per comprendere non solo ‘Mangiari da Re’ ma anche la diffusa tradizione di una ( o più) cultura/e che, nonostante la parsimonia della corte reale, era influenzata dalla gastronomia francese quantomeno per la cura e l’abbondanza delle portate e dei vini.
Domenico ci ha portato a curiosare anche quindi nella cultura gastronomica espressa dai menù e ad approfondire i piatti e le loro ricette con ricerche ‘sul campo’; ricette, prodotti, tradizioni anche popolari espressioni di quel Piemonte fatto di tavole di tanti Piemonti.
Riscrivere la storia della cucina di tante aree attraverso i menù e a ‘quello che ci sta dietro’; un’inedita storia della cucina basata sui mangiari veri e non solo su ricettari non sempre reali interpreti di questa ‘inevitabile’ cultura materiale.
Dobbiamo andare avanti su questa impervia strada aperta da Domenico approfondendo il suo operato non solo gastronomico ma anche artistico – artigianale.